“Tra il pentagramma e la performance” di Maurizio Franco (agosto 2008)
La relazione tra scrittura e creazione estemporanea è stata, e tuttora continua a essere, un elemento centrale nella storia della musica che chiamiamo jazz e nelle varie configurazioni da essa assunte nell’ambito sonoro contemporaneo. La presunta opposizione, spesso portata come esempio della diversità del mondo jazzistico, tra il “solismo”inteso come forma di libera invenzione artistica e la pagina scritta, risulta infatti difficile da inquadrare in maniera netta e il manicheismo con il quale viene ancora oggi considerata è probabilmente il frutto di una visione datata del linguaggio proveniente dalla tradizione africana americana. Basta pensare agli stili New Orleans e Dixieland, alla figura di Duke Ellington e a quella di tanti autori che hanno popolato l’universo jazzistico ispirando e guidando le invenzioni dei solisti, per rendersi conto di quanto quella concezione sia limitante sotto ogni punto di vista. Persino nel Bebop, i cosiddetti “temi pretesto” possedevano una forza capace di determinare le linee delle improvvisazioni, come del resto si conviene a una musica “audiotattile”, nella quale è per sua stessa natura imprescindibile la relazione tra “composto” e “inventato al momento”, sempre consumata nella pratica della performance in maniera tale da assumere molteplici configurazioni. Questa premessa ci introduce nel lavoro di Pierluigi Balducci, “europeo” nel senso ampio del termine, “italiano” nella dimensione particolare assunta dalla musica, ma soprattutto punto di arrivo di un percorso artistico del tutto rispettabile che, qui, prosegue decisamente la strada già intrapresa in precedenti album. Partendo da una scrittura duttile, Balducci riesce infatti a coniugare gli aspetti estemporanei con un preciso ed efficace progetto compositivo, grazie al quale conferisce unità e coerenza alla presente opera, configurandola come una vera e propria suite nella quale le ricorrenze tematiche, sottilmente presenti in tutti i brani, si fondano su una precisa visione timbrica centrata sull’equilibrio costante tra la dimensione acustica e quella elettrica. In quest’ottica, la fisarmonica di Biondini costituisce il perno dinamico di una piena orchestralità di tratto e la chitarra di Tosques, intrecciandosi con il basso, disegna le linee interne, l’ossatura nascosta di una musica che presenta anche l’uso efficace, e tutto sommato semplice, diretto, delle procedure imitative legate al contrappunto e al canone, la chiarezza vincolante delle linee melodiche e la coerenza nella varietà ritmica: tutti elementi che costituiscono altrettanti punti saldi del lavoro di composizione. Un lavoro così ben costruito, che pure gli arrangiatori invitati a contribuire a queste pagine (e sappiamo quanto l’arrangiamento sia une vera e propria ri-composizione) non possono che limitarsi ad ampliarle attraverso qualche breve schizzo della propria personalità, non riuscendo minimamente ad alterarne il senso, dando alla fine l’impressione della presenza di un’unica mano. Questo è il merito del suo autore, che nel suo policulturale e in parte descrittivo quadro sonoro ha inserito in due pezzi anche la voce, ispirata dal canto mediterraneo e da quello pop, cioè dal modello in voga da qualche anno nella musica italiana di estrazione jazzistica. Una multiculturalità evidenziata dallo sguardo a svariati generi musicali, americani o sud europei, sentiti però come fonte di ispirazione, da inserire in partitura quali elementi neutri, non certo in maniera stilisticamente precisa. Nel suo insieme, la scrittura possiede la qualità di far vivere la sua esecuzione in maniera non accademica, poiché è stata pensata in modo tale da realizzare anche un interplay “scritto”, sia per non cadere nel prescrittivismo, sia per favorire il gioco relazionale dei musicisti nel corso dell’interpretazione. Anzi, dell’estemporizzazione, cioè di quel processo di libertà sonora e ritmica con cui un musicista affronta una melodia o una più vasta parte scritta. Una prassi ben più utilizzata, nella storia del jazz, di quella comunemente definita improvvisazione, cioè di un altro elemento cardine della creazione istantanea nelle musiche audiotattili. Improvvisazione che, in senso letterale, qui non esiste, senza per questo inficiare lo spirito e la procedura creativa di queste pagine, che attraverso il processo estemporizzativo (e non poteva essere altrimenti vista la tipologia del progetto) restano legate alla dialettica tra scrittura ed elaborazione improvvisata, personalizzazione e ri-composizione del materiale di partenza, che rappresenta uno dei cardini dell’estetica jazzistica.
(P) 2008
Dodicilune ED250
8033309692500
Musicisti
Pierluigi Balducci: el/ac bass
Luciano Biondini: accordion
Antonio Tosques: el. guitar
Giuseppe Berlen: drums & percussions
Leo Gadaleta: violin
Luisiana Lorusso: violin & voice
Nico Ciricugno: viola
Enrico Melozzi: cello
Total Time: 43:35
Rassegna Stampa
Recensione by JAZZCONVENTION.NET
PREMI E RICONOSCIMENTI AL DISCO
PREMI E RICONOSCIMENTI ALL’ARTISTA
JAZZIT AWARD 2010
Pierluigi Balducci scelto tra i migliori 10 bassisti italiani del 2010
JAZZIT AWARD 2011
Pierluigi Balducci scelto tra i migliori 10 bassisti italiani del 2011