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• PRESSRELEASE
Venerdì 1 dicembre esce in Italia e all’estero, distribuito da Ird e nei migliori store digitali “Ubique” il nuovo lavoro discografico prodotto dall’etichetta Dodicilune del quartetto acustico Anakata’ Ensemble composto da Marco Silletti (chitarre), Laura Rosa (flauti), Alessandra Gho (violino), Maria Grazia Reggio (chitarre).
Le prime tappe del tour di presentazione saranno le seguenti: il 16 dicembre alle 18,30 presso la “Casa della Musica” di Portacomaro (Asti), il 22 dicembre alle 21 presso la “Sala Borsalino” di Pecetto di Valenza (Alessandria), il 19 gennaio 2018 alle 21 presso l’Aula Magna del Liceo Plana ad Alessandria.
“Questo è un disco che non c’era. In un mercato così democratico e aperto da accogliere prodotti inesistenti in quantità tanto grande da annichilire le rarissime presenze reali, è una fortuna scovarne una di queste e poterne parlare. Anzitutto si tratta di un progetto e non di una raccolta di brani e tale progetto ruota attorno a una personalità musicale − quella di Marco Silletti − e a un sound, quello della chitarra anzi, di un certo modo di pensare la chitarra. L’ascolto di brani dalle derivazioni geografiche, stilistiche e di genere assai diverse, rispettate nella trascrizione per le loro specificità, è tuttavia ancorato attorno a un unico clima, fatto di un corpo energico, vitale e insieme pensieroso, assetato di contatti col mondo e d’altro canto votato a una solitudine alpestre, più avvezza a dialogare con la natura che con gli esseri umani. La formazione, piuttosto inusuale, di due chitarre, flauto e violino è valorizzata da una scrittura attentissima agli equilibri sonori e chirurgica nell’assicurare trasparenza alla trama polifonica e poliritmica e alle ricercate armonie, ma soprattutto nell’echeggiare, rimbalzare, ricalcare coloriture timbriche proposte dalle corde pizzicate, riprese dal fiato e allungate a far da sfondo e poi agganciate dall’arco e restituite ai suoni provvisori e puntuali della chitarra. Per i brani non inediti presenti in questo CD non possiamo certo parlare di trascrizioni, perché gli originali restano sullo sfondo a garantire la fedeltà al materiale di partenza e, per qualche ascoltatore, a trovare echi di familiare appartenenza, ma qui ogni elaborazione trasforma e piega gli ingredienti generativi per opera di una fantasia colta, alimentata da frequentazioni pratiche e riflessioni delle musiche più varie e dei repertori più raffinati, anche quando popolari. E se il risultato non si riduce a un patchwork ma a un polittico coerente è perché l’autore non ostenta un eclettismo camaleontico ma si esprime secondo uno stile riconoscibile e discreto, privo di esibizionismi, rigoroso. La ragione sta nel fatto che Silletti interroga il suo strumento come se fosse una parte di sé, come se toccasse la sua pelle e cercasse di capire la reazione tattile, il calore la propriocezione derivate e ne producesse il disegno, il racconto: questo modo di leggere il mondo nell’ordito della propria pelle, cambia il mondo stesso in una mappa e lo fa proprio. Dunque una viscerale, irriducibile simbiosi con un corpo risonante diventa lo stagno instabile nel quale le presenze mondane si rispecchiano e vivono nuova vita. Tra le maglie delle musiche altrui, tre brani originali per chitarra sola sembrano, con umiltà, distrarre gli sguardi dal proscenio per permettere agli operai di sgomberare il palco e allestirlo per la successiva primadonna e invece sono fini collanti, preziosi bassorilievi che aggiungono una voce autentica a questa alchimia di presenze. Al termine di questo ascolto ciascuno porterà, nella propria gerla, miniature sonore curate in ogni particolare sia nella scrittura che nell’interpretazione e ben distinte l’una dall’altra, ma tutte permeate da una consolatoria, umana leggerezza.” Gianni Nuti
• BIO
ANAKATA’ ENSEMBLE, formato da musicisti di consolidata esperienza concertistica in numerose formazioni cameristiche che hanno all’attivo registrazioni per la DDT di Torino, la Bèrben di Ancona, la Tirreno di Zurigo, la Map di Milano e la Bongiovanni di Bologna, nasce dalla volontà di esplorare nuove possibilità espressive per questo particolare organico acustico. L’inconsueta combinazione di violino flauto e due chitarre, con le sue suggestive sonorità e i suoi impasti timbrici, ha determinato la scelta di un repertorio vasto ed eterogeneo che comprende brani originali dell’ottocento, composizioni contemporanee appositamente scritte per l’ensemble, trascrizioni di varie epoche e generi, in un’intrigante miscellanea di barocco e pop, stile galante e rock…
• COMMENTO AI BRANI
CLAUDE DEBUSSY (1862-1918) Pour invoquer Pan, dieu du vent d’été e Pour remercier la pluie au matin sono il primo e l’ultimo delle Six épigraphes antiques per pianoforte a quattro mani scritte da Debussy nel 1914. Nel primo una melodia vaga e sospesa proposta in soliloquio dal flauto e poi contrappuntata dal violino è sostenuta con levità dalle corde della chitarra i tenui refoli di vento diventano più capricciosi, si intensificano nelle armonie e negli intrecci polifonici, si arricchiscono di ritmi composti e poi ripiegano nelle brume più scure. Nel secondo brano un pedale armonico leggerissimo si muove appena sopra una melopea grave che poi si schiude mentre l’armonia passeggia sotto a passi lunghi.
GEORGE HARRISON (1943-2001) While my guitar gently weeps un envoi melanconico semplice, una canzone in forma di ballata elegiaca, con una melodia prima incerta e lamentosa, poi dispiegata e lirica che si poggia appena su un giro armonico morbido, struggente. La rielaborazione esalta il colore bruno e il registro medio-grave del flauto e poi del violino conferendo una sigla di struggenza, depotenziando quel residuo di matericità e di energia che il chitarrista dei Beatles mantiene nelle sue interpretazioni a partire da quando la scrive nel 1968, agli albori della dissoluzione del gruppo.
RAY LEMA (1946) Babomà è l’ultimo brano di un disco per pianoforte solo, Mizila, inciso dal compositore e pianista congolese nel 2004. Nella Parigi del terzo millennio un nomade trova ancora occasioni per maturare opere così essenziali nel costrutto e insieme così ricche di idiomi differenti intrecciati in una relazione quasi amicale per incontro, mescolanza e fusione, come era già successo nei primi anni del Novecento, durante la grande stagione di De Falla e Debussy. La dissertazione ostinata per intervalli spezzati ruota attorno a un Do ora pulsante ora celato, è costellata di elusioni, disattese e accentuazioni irregolari che il pianista compie in uno spazio diastematico limitato ma
percorso per balzi sghembi: jazz, melopee arcaiche e ritmi afro diventano un universalistico inno alle cose che sorprendono e insieme si ripresentano davanti ai nostri occhi ciclicamente, in un gioco perpetuo di continuità e discontinuità.
Pépé Féli Waku è il terzo brano dello stesso album da quale è tratto Babomà ed è dedicato a Felix Manuaku Waku, anche noto come Pépé Fely, il più influente chitarrista congolese della sua generazione. Si tratta di una stilizzazione in miniatura di quella parte del Soukous congolese, chiamata Sebene: alla parte della rumba piuttosto lenta e interlocutoria, destrutturata, segue un ostinato armonico-melodico-ritmico fatto di alternanze irregolari bassi/acuti sul quale innestare un’improvvisazione. Questo continuum, come le zampe di un ragno, si arrampica sulle armonie circolari con l’umore leggero e il vitalismo spiritoso di chi cambia espressione del viso ripetendo la stessa frase, di chi coltiva un vicinanza della morte così stretta da poterla esorcizzare, sebbene per poco, con una danza che, pur nella frivolezza del gioco strumentale, conserva richiami a gesti di seduzione e, insieme, di lotta.
RYUICHI SAKAMOTO (1952) Forbidden colours, scritto dal celebre pianistacompositore giapponese su testo dell’inglese David Sylvian, è il tema musicale del film Furyo, di Nagisa Oshima, mentre Il titolo è affrancato dal racconto del 1953 di Yukio Mishima, Colori proibiti. La melodia principale, costruita sulla scala pentatonica di Yo, ammalia seducente evocando sensuali danze in kimono, ma è ingannevole perché avvolta da concrezioni sonore fatte di bagliori sospirosi e origami dai quali emana un sentimento di prigionia e di estinzione rapida e implacabile, come il nostro comune destino.
MARCO SILLETTI (1963) Metang è un brano etno-popular scritto nel 2010. Impiantato su un arpeggio ascendente aperto e iterato, questi resta sullo sfondo fintantoché non emerge e si trasforma integrandosi dentro un dispositivo sonoro che si intensifica per sovrapposizione di modelli ritmicoarmonici fino a polverizzarsi in un virtuoso articolato conclusivo.
Anakatà è un sagace affondo nella musica sperimentalista post weberniana di area francese scritto nel 2003. In particolare, questo è un omaggio a Olivier Messiaen, al suo spirito libero da dogmi di scuola e al suo religioso tendere verso la forma perfetta. Il brano ripensa alcune delle originali tecniche compositive adottate e teorizzate dall’organista parigino: nuove scale, ritmi indiani, geometrie strutturali predefinite in omaggio alla relazione endemica e misteriosa tra matematica e musica, tra misura ed espressione, tra enigma e mistero che sfida le penne di compositori e filosofi da millenni… Il titolo del brano, tratto dal libro “La quarta dimensione” del matematico Rudy Rucker dà anche nome all’ensemble. Particolare rilievo merita qui la piena coesistenza tra costruzione logica della partitura e comunicazione espressiva; più in dettaglio spicca il trattamento del violino, particolarmente gustoso nel suo stridore composto e nel tipo di gemellarità, piuttosto inedita, coltivata con il suono chitarristico.
On Tuesday morning è il primo, tenero omaggio alla madre dell’autore scomparsa di recente. Una melodia di armonie esordisce nell’ombra e poi si eleva e apre alla luce come una intima consolazione. Ricorda quell’antico modo trobadorico di contemplare le proprie perdite dolorose all’ombra di un albero, reclini sulle corde di un povero liuto. Ananke secondo brano del trittico alla madre, è scritto nei giorni bui della perdita. La composizione nasce da una domanda musicale segnata sul reticolo delle corde, prima accennata e poi drammaticamente trasposta in una progressione discendente e interrotta alla ricerca vana di una risposta, che neppure una risonanza lieve riesce a portare. L’eloquio si addolcisce e svapora in armonici per poi preludiare su registri diversi prima di cristallizzarsi su un arpeggio doloroso e dolce insieme da cui una monodia per gradi congiunti scende lenta e lamentosa. Nel brano è forte l’influenza delle opere di Angelo Gilardino di cui l’autore è stato allievo.
Ry-Me, terzo e ultimo brano del trittico, porta nel titolo l’anagramma del soprannome della madre scomparsa. L’incipit gela cristalli di armonici su una superficie bianca lasciando che il freddo si diffonda; poi un viaggio liquido tra armonie aperte arpeggiate con formule inquiete e insieme rotonde riposa su frammenti di melodia che troverà più avanti una compiutezza, ma nel frattempo si avvicendano progressioni di ritmi composti e ancora arpeggi larghi che sfruttano le compresenze trasparenti tra corde piene e corde coperte. Alla fine il ghiaccio ritorna e accende una stella lasciandola mobile e luminosa, oltre il tempo.
IGOR STRAVINSKY (1882-1971) Se tu m’ami è un aria in stile italiano che Stravinsky, tra il 1919 e il 1920, inserisce nel balletto Pulcinella, lavoro commissionato dal celebre impresario russo Sergej Diaghilev. Il materiale barocco, erroneamente attribuito a Pergolesi, è ripensato e modernizzato dal compositore russo che, con la sua maestria d’orchestratore, rinnova i profili di un pathos tutto partenopeo con quello policromo russo. Silletti, nella sua elaborazione, moltiplica l’effetto con rifrazioni multiple come tra specchi disposti in serie e, spogliando la partitura di ogni belletto, allarga le maglie della melopea appena sostenuta dalle corde pizzicate per mostrare il vuoto dell’esistere, la fragilità dell’amare.
FRANK ZAPPA (1940-1993) Run home slow è un brano giovanile scritto nel 1958-59 dal genio italo americano per la colonna sonora dell’omonimo B movie di ambientazione western prodotto dal suo ex insegnante di inglese del liceo. La versione originale impiega una scrittura orchestrale a pastiche dove un preambolo etereo e vago è scalzato da una sezione fortemente tesa, farcita di pattern ritmico-armonici iterati in modo quasi minimalista e intrecciati secondo un incastro destabilizzante, frutto di suggestioni da Varèse e Stravinskij. Particolarmente felice, nell’elaborazione per quartetto, la valorizzazione dei differenti specifici strumentali in una compresenza perfettamente equilibrata per volumi e timbri.
Let’s make the water turn black (1968) è una canzonetta storta nella quale trova espressione quel fenomeno di annullamento tra cultura alta e cultura pop/trash proprio del popolo statunitense. I colori della elaborazione per quartetto esaltano il tratto quasi circense dell’opera ma in senso picassiano, laddove la maschera nasconde il vuoto di un piccolo mondo alieno al resto del mondo e insieme rivela, con spietata lucidità, la vacuità del vivere.
Uncle meat è la title track del sesto album, inizialmente pensato come colonna sonora dell’omonimo film, uscito poi nel 1987. Il brano è una dissertazione su un’asseverativa, teutonica melodia d’arpeggio puntuta sulla quale si aprono dialoghi tra voci e sovrapposizioni polifoniche, unisoni, giochi di accentuazioni alternate, arpeggi liquefatti, concentrazioni accordali militaresche come a sgranare un vocabolario di idiomi che Zappa utilizzerà nelle opere future con quel fare buffonesco (nella sua accezione più alta, naturalmente) che ha prodotto prodigiosi, imperituri gramelot musicali. La versione per quartetto avvicina la composizione ai repertori bartokiani che hanno indagato sulle musiche dei popoli europei, in particolare ungheresi.
Gianni Nuti
• TRACKLIST
1) Baboma
2) On Tuesday Morning
3) Forbidden Colours
4) Run Home Slow
5) Metang
6) Se Tu M’Ami
7) Ananke
8) Pépé Fely
9) Let’s Make The Water Turn Black
10) Anakatà
11) Pour Invoquer Pan Dieu Du Vent d’été
12) Pour Remercier La Pluie Au Matin
13) Uncle Meat
14) Ry-Me
15) While My Guitar Gently Weeps
• COMPOSITIONS BY
Compositions by Ray Lema (1, 8), Marco Silletti (2, 5, 7, 10, 14), Ryuichi Sakamoto (3), Frank Zappa (4, 9, 13), Igor Stravinskij (6), Claude Debussy (11, 12), George Harrison (15); arrangements by Marco Silletti except (3) by Silletti/Arnaboldi, (9) by Silletti/Gino.
• PERSONNEL
Marco Silletti, guitars
Laura Rosa, flute, piccolo
Alessandra Gho, violin
Maria Grazia Reggio, guitars
• PRODUCTION DATA
Total time 53:46 STEREO DDD
p 2017 DODICILUNE (Italy)
CD DODICILUNE DISCHI Ed385
8033309693859
• RECORDING DATA
Produced by Anakatà Ensemble and Gabriele Rampino for Dodicilune edizioni, Italy
Label manager Maurizio Bizzochetti (www.dodicilune.it)
Recorded May 2016 at B.A.D. Instruments Studio, Alessandria, Italy
Mixed and mastered September 2016 at B.A.D. Instruments Studio, Alessandria, Italy
Sound engineer Andrea Serrapiglio
Paintings by Giorgio Tonti, “Lavori sulla Luna”, 2000 acrilico su tavola (cover);
“E’ subito sera”, 2009 acrilico su tavola (tray); www.giorgiotonti.com
Photos by Andrea Serrapiglio Contact: marco.silletti@gmail.com
• EXTRA NOTES
Marco Silletti plays Guadagnini 1880, Arias 1897, Simplicio 1936, Monch 1952, Garrone 2008, Schmidt 2008 guitars; Alessandra Gho plays liuteria Sibilio violin, Maria Grazia Reggio plays Garrone 1999 guitar.
• VIDEO
Baboma (extract)
Forbidden Colours (extract)
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